Corriere della sera: Covid-19 e tumore al polmone: così si possono proteggere i malati
Diverse ricerche hanno dimostrato che i fumatori sono più a rischio di contrarre il virus SARS-CoV-2: i loro polmoni, già di per sé indeboliti dal tabacco, sono infatti più esposti al rischio di infezione e di complicanze. E se questo virus provoca una grande infiammazione nell’apparato respiratorio, fino ad arrivare a polmoniti letali, quanto è elevato il rischio per i pazienti che già soffrono di tumore ai polmoni?A chiederselo, in un editoriale pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Oncology, è stato un gruppo di esperti europei, coordinati dall’italiano Filippo de Marinis, direttore dell’Oncologia Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo). «Abbiamo cercato fin da subito di rispondere alle domande che noi tutti specialisti ci facciamo – spiega De Marinis -: bisogna subito testare chi soffre di cancro ai polmoni per cercare se sia presente il coronavirus? E in caso il tampone sia positivo, qual è il miglior modo di curare i pazienti oncologici? Se è quando è meglio sospendere temporaneamente le cure anticancro? Purtroppo non abbiamo molte risposte, ma è già stato creato un registro mondiale per la raccolta dati, che ci aiuterà a trovare più in fretta le strategie migliori. Gli studi fino ad oggi disponibili confermano che i pazienti di tumore al polmone hanno un maggior rischio di contrarre il virus e affrontano una prognosi più grave, in caso di contagio».
IL 98% DEI 325 PAZIENTI IN CURA NON HA CONTRATTO IL VIRUS
In un altro articolo, appena pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers of Oncology, però, de Marinis e i suoi colleghi in Ieo hanno individuato un primo modello efficace per tutelare i pazienti in terapia per cancro al polmone dall’epidemia di Covid-19. L’applicazione tempestiva delle linee guida internazionali e delle indicazioni regionali per la protezione dal virus ha infatti permesso di evitare il contagio nel 98% dei casi dei malati in cura allo Ieo, grazie anche all’utilizzo di social media, telemedicina e triagetelefonico precedente all’accesso dei pazienti in ospedale. «E’ la prima pubblicazione, a livello internazionale, dei risultati delle indicazioni cliniche e organizzative per proteggere i pazienti oncologici con cancro del polmone dall’ infezione Covid-19 – commenta de Marinis – e contiene buone notizie per questi malati, che sembravano i più fragili e i più a rischio per il tipo di organo già colpito. Su 325 pazienti in trattamento in Ieo al momento dello scoppio dell’emergenza virus, solo 6 sono risultati positivi fino ad oggi, tutti sono in vita e per nessuno di loro è stato necessario il ricorso alla terapia intensiva».In questo periodo d’emergenza epidemica, il polmone di chi ha un tumore subisce un triplice attacco: primo, è sede di neoplasia; secondo, subisce i possibili effetti collaterali della terapia oncologica; terzo, può essere colpito dalla polmonite interstiziale causata dal virus, in caso di contagio.
IL MODELLO ADOTTATO IN IEO
«Le misure di protezione dal virus diventano quindi misure salvavita per questi pazienti – prosegue de Marinis -. Tant’è vero che in molti altri Paesi vengono tutti testati per la positività al virus. Ma in Italia non è così, e quindi in Ieo ci siamo organizzati diversamente e fin dai primi giorni dell’esordio del virus abbiamo messo a punto linee guida interne specifiche per quanto riguarda le terapie, (poi avvalorate ed ampliate dalle indicazioni delle società scientifiche) e abbiamo attivato specifici modelli organizzativi e logistici, in linea con le indicazioni regionali e nazionali che nel tempo si susseguivano. Abbiamo rinviato le terapie procrastinabili senza rischio eccessivo (circa il 40% del totale), rimandato visite e controlli ambulatoriali e, grazie a un accordo con ATS e sponsor privati, abbiamo fatto in modo che le terapie orali fossero ritirate sul territorio regionale o extraregionale, senza la necessità per il paziente di spostarsi e di accedere all’ospedale. Parallelamente, abbiamo regolamentato l’accesso allo Ieo: triage telefonico il giorno prima dell’accesso, triage clinico con misura della febbre e della capacità respiratoria il giorno stesso, divieto di accesso a familiari e accompagnatori, obbligo della mascherina per pazienti ed esterni». In tutto questo la relazione medico-paziente è rimasta centrale, insieme al rapporto umano: «I nostri pazienti sono stati chiamati e richiamati ad uno ad uno – conclude l’esperto -. Non solo per il triage, ma anche per spiegare loro i rischi reali del contagio, i comportamenti da adottare a livello personale e familiare, e poi ancora per discutere con loro la gestione della malattia illustrando il perché degli eventuali rinvii protettivi, ricavandone sempre una percezione di collaborazione e di un vissuto di non abbandono».